Il treno delle 7,27 arriva sempre in orario. È così preciso che potrebbe essere preso come riferimento per regolare gli orologi. Gli orari dei treni della tratta Roma- Orte ormai li conosco a memoria. Anche i volti dei passeggeri sono diventati familiari. Con qualcuno, a volte, scambio un cenno di saluto. Non un saluto vero e proprio, più una smorfia, un movimento del viso, che sta a significare “ciao, sono qua anche stamattina, buona giornata”. Dopo tanti anni, riesco a prevedere pure i ritardi. L’unico treno che non ritarda mai è quello delle 7,27, quello che prende Elena per andare all’università. Se per qualche motivo non riesce a prenderlo, è la fine. Gli altri non rispettano la precisione che promettono negli opuscoli. D’altronde, chi è che rispetta quello che promette? In pochi. In pochi…
Oggi sono in anticipo di venti minuti. Pazienza, mi siedo qui e l’aspetto, tanto non ho fretta. Aspettare non costa niente. Certo, vedendo tutta questa gente che va di corsa, qualche dubbio mi viene… oggi avere tempo per aspettare qualcuno è un lusso. Chissà dove vanno, tutti. E perché corrono. Se avere tempo per aspettare è un lusso, non averlo cos’è? E’ la miseria, secondo me. La mancanza di tempo l’ho sempre associata alla mancanza di libertà. Se non posso decidere come spendere il mio tempo, non sono libero. E’ una ricchezza, il tempo. Forse per questo si dice “spendere il tempo”, perché averlo a disposizione è difficile e prezioso.
Io il tempo ce l’ho.
Sono ricco.
E aspetto.
E spendo il mio tempo qua, su una panchina fredda, solo per vederla scendere da quel treno. Quanto è bella. La riconosco subito, in mezzo alla folla. Ieri indossava un vestito a fiori che mi piace da morire. Ha detto che lo mette soltanto per me. Mentre camminava tra la gente, avevo paura che qualcuno vedesse la stessa bellezza che vedevo io e me la portasse via.
È stata il mio primo amore, Elena.
L’unico.
Oggi voglio portarla a pranzo fuori: al diavolo gli impegni.
Appena la vedo glielo dico: oggi ci prendiamo una giornata tutta per noi!
Dal treno delle 7,27 non è scesa.
Avrà fatto tardi.
Ma io aspetto. Sono un po’ stanco, ma l’aspetto.
Il tempo per aspettare io ce l’ho.
Ho dormito poco, mi sa che chiudo gli occhi per riposare dieci minuti.
– Amerigo! Amerigo, mi senti? Amerigo, rispondi! Rispondi, cazzo!
– Che è successo?
– Si è sentito male?
– Aria, fate aria. Chiamate un’ambulanza e lasciatelo respirare.
– Chi si è sentito male?
– Boh, forse un passeggero.
– Ma no, è Amerigo, un barbone.
– Non è un barbone, è il poeta della stazione Termini: da quarant’anni viene qua tutte le mattine e aspetta.
– Aspetta sempre lo stesso treno e qualcuno che non è mai arrivato.
– Fate silenzio! Zitti! Amerigo sta morendo…
– Ma chi è quello che sbraita tanto?
– Forse è un amico.
– No, è il giornalaio.
– Si vede che lo conosceva…
– Perché i soccorsi non arrivano?
– Capirai, nell’ora di punta, arrivare qua è un’impresa…
– Largo, fate largo…
– È grave?
– Respira?
– Shhh, gli stanno facendo il massaggio cardiaco.
– Non si muove.
– È morto.
– I medici sono arrivati troppo tardi.
– In certi casi il tempo è fondamentale.
– Era malato di cuore e nessuno lo sapeva.
Alessandro Capezzuoli