Il parco è un posto in cui non aspettarsi nulla, a parte lo scorrere del tempo. Per chi, come Fulvio, provava quel dolore intenso e profondo che solo il male di vivere sa infliggere, il parco era una specie di rifugio. I piccoli gesti, le mamme che spingono le carrozzine, la gente che fa sport e i bambini che gridano e giocano a calcio, lo rassicuravano. Una vita tranquilla è possibile, pensava.
Contro il dolore fisico c’è sempre una soluzione, contro il mio dolore no.
A volte capita, nella vita, di sentirsi inadeguati all’esistenza, e Fulvio si sentiva profondamente inadeguato. Inadeguato a confrontarsi con gli altri, inadeguato alla superficialità, inadeguato al divertimento e alla morale del suo tempo e del suo paese. Inadeguato perfino all’amore. La sua situazione si era irrimediabilmente complicata a causa di Paola. Si erano conosciuti casualmente durante un viaggio di lavoro, avevano scambiato qualche messaggio, poi lunghe chiacchierate in un piccolo bar di provincia. Le chiacchiere, inizialmente professionali e distanti, erano diventate sempre più intime e confidenziali, e alla fine si erano innamorati. Tra loro funzionava tutto alla perfezione, una specie di armonia perfetta delle anime e dei corpi. Piccolo particolare: erano entrambi sposati. Lui con un’altra, lei con un altro. Avevano entrambi dei figli e non erano nemmeno più tanto giovani. Come fare? C’era una soluzione? Le avevano analizzate tutte, una per una, valutando le possibili conseguenze di questa o di quell’altra scelta. Compreso l’eventuale dolore dei rispettivi compagni a cui erano affezionati. L’amore no, avevano capito che amarsi significava altro. Ogni soluzione, ogni ragionamento, era una specie di partita a ping pong, una sfida, in cui la pallina rimbalzava tra l’amore e la morale. Non era possibile che le due cose stessero dalla stessa parte. E la morale, si sa, vince spesso sull’amore. Nella morale ci sono le responsabilità, i cosa dirà la gente, le sofferenze dei figli, i se e i ma delle famiglie, i sensi di colpa e tutte quelle cose che sono state create dall’uomo per rendersi infelice.Sentirsi in colpa per amore è la condanna peggiore che si possa infliggere a un uomo. Nella morale non c’è mai niente di vero e, soprattutto, non c’è mai niente di morale. È una strada senza uscita, è routine da dare in pasto ai robot. È la giustificazione degli inetti, di chi non pensa, di chi giustifica anche i peggiori fallimenti con quelle frasi rassegnate tipo “è sempre stato così”.
– Non capisco perché devo scegliere. Perché?, cazzo! Perché devo scegliere tra l’amore che provo per Paola, l’amore per i miei figli e l’affetto nei confronti di Laura? Perché a Laura voglio bene, questo è certo. Non l’amo, forse non l’ho mai amata, ma le voglio un gran bene e vederla soffrire mi fa stare male. Chi ha deciso che deve andare così? Io no di certo, semmai questa società di merda in cui sono costretto a vivere. Vorrei stare lontano, in un posto dove gli esseri umani non siano costretti ad amarsi uno per volta. Come se l’amore si potesse applicare alle persone, seguendo una regola precisa. Il teorema di pitagora. Due cateti e come risultato sempre la stessa ipotenusa. Soltanto che qua a 90° sono piegato solo io, con tutto ciò che ne consegue…
Un sorriso gli spuntò sulle labbra: magra consolazione di un’ironia che ormai aveva perso. Continuò il suo pensiero.
– Una regola, una stupida regola. Come se esistesse una sola forma d’amore e non miliardi di sfumature.
Basta!, ho deciso: stasera parlo con Laura.
Però, i bambini… che pena! E lei? Soffrirà, lo so…
Domani dico a Paola che è finita, che non possiamo andare avanti così. Lo faccio anche per lei, per non vederla più piangere. O forse è meglio aspettare, col tempo le cose cambieranno, ci saranno le i condizioni per…
Certo, aspettare, aspettare che I figli crescano, ma noi saremo più vecchi e stanchi. Lo siamo già adesso, figuriamoci tra vent’anni.
Il sole era tramontato da un po’.
Fulvio aveva passato l’intero pomeriggio immerso nei suoi pensieri.
Senza una soluzione.
Senza una speranza.
Si alzò e andò via.